Il Museo Diocesano Diffuso è completato dai luoghi di collegamento ovvero tutti i siti presenti nell’area diocesana che hanno una valenza storico culturale e di presenza cristiana fin dal IV secolo, a cominciare da quelli più vicini alla Cattedrale come la Chiesa della Visitazione della quale, dai recenti scavi archeologici effettuati, è emersa la natura di presidio cristiano già in tempi remoti. Notevoli sono anche la chiesa dedicata a San Leo, oggetto di recenti restauri grazie ai quali è stata ricostruita la sua storia millenaria legata al patrono San Leone IX Papa, nonché le catacombe di San Casto, un luogo che testimonia la presenza di fedeli agli albori della cristianità: la memoria del martirio di San Casto e la devozione al santo, sono percepibili dalla quantità di sepolture emerse durante le ricerche archeologiche compiute all’inizio di questo millennio
San Casto
San Casto La piccola basilica di San Casto è situata sulla parte terminale di via XXI Luglio, a pochi metri dalla strada, visibile da essa come una modesta costruzione di campagna. Oltrepassando il cancello in ferro, si entra in una nuova dimensione temporale e si è trasportati in un luogo dove ogni pietra ed ogni metro di terra raccontano di un vissuto antico che sembra rivivere improvvisamente in modo chiaro, proiettando il visitatore in uno spazio pervaso dal silenzio sacrale e dalla fede. La basilica è un cubicolo sulle cui pareti lo sguardo si alterna tra frammenti di affreschi dal sapore millenario e preziosi capitelli incastonati nella muratura, fino a posarsi nel punto più sacro, il piccolo spazio che ospitava il sarcofago del Santo. San Casto è stato uno dei primi Santi della cristianità, il cui martirio è fatto risalire, in modo discordante, al 292 o al IV secolo. La vita di San Casto è legata a quella di San Secondino, con il quale divise il martirio, ed il cui culto arrivò fino al X secolo, quando le reliquie di entrambi furono portate presso la cattedrale di Gaeta. Nonostante i corpi dei Santi martiri furono spostati, il culto rimase per secoli ancora, come testimoniano gli affreschi del secolo XVI, ora trasferiti nel nuovo Museo Diamare. Nel 1962, Mons. Vittorio Maria Costantini, Vescovo di Sessa dal 1962 al 1982, riuscì a fare donare alla Diocesi, il cranio dei due santi. Il luogo conserva anche le catacombe, ora visitabili dopo una lunga campagna di restauro e di ricerche avviate prima da Mons. Napoletano e poi portate avanti da Mons. Piazza. Le ricerche archeologiche hanno riportato alla luce non solo la complessa stratificazione di tombe, sia all’interno del cubicolo, che all’esterno, ma anche una parte catacombale e un arcosolio con una decorazione dipinta con motivo a cassettoni, entro cui si disponevano boccioli di rose.
La Visitazione
La Visitazione Poco lontano dalla cattedrale sorge la piccola chiesa della Visitazione, chiamata anche Santa Maria a Castellone, costituita da una sola navata con un locale adiacente. L’ingresso della chiesa è posto al di sotto di un arco reggente degli ambienti di proprietà privata. Durante i recenti restauri sono state rinvenute, a pochi centimetri dalla pavimentazione, strutture che hanno consentito di riscrivere la storia millenaria del sito. In particolare, sono venute alla luce murature di età romana (I-IV sec. d. C.)6 , costituenti una vasca per contenimento d’acqua (cisterna-serbatoio) di notevole altezza, probabilmente 4-6 m, rivestita interamente in cocciopesto. L’edificio è stato utilizzato come area sepolcrale a partire dal III sec. d. C., probabilmente in seguito alle persecuzioni dell’Imperatore Diocleziano. Tale destinazione viene interrotta dalla costruzione di un edificio absidato (IX-XI sec.) presente sotto la pavimentazione del presbiterio, che subirà, con ogni probabilità, i danni di un terremoto o una distruzione di causa naturale o artificiale. La pratica e l’utilizzo di quest’area riprende fervore in età angioina con la costruzione dell’attuale chiesa.
San Leo
La chiesa, di prepositura cassinese, ha un’origine molto antica. Il luogo in cui sorge è quello dove la tradizione locale vuole si sia rifugiato Papa Leone IX, al quale è dedicata, durante la sua fuga a seguito della battaglia di San Paolo di Civitate del 1053. Essa appare citata in una bolla di Onorio III del 1216. Secondo una tradizione attestata dallo storico locale Lucio Sacco, il Pontefice alsaziano arrivando nel 1053 a Sessa si è fermato prima presso la casa con mulino di un contadino addossata alle mura della città, successivamente è stato ospitato nel Convento di San Domenico all’interno del Castello di Sessa per proseguire poi per Roma; i sessani, quindi, per ricordare l’evento hanno in seguito monumentalizzato la casa contadina creando un primo edificio di culto. Ancora oggi la Diocesi possiede una reliquia del braccio di Leone IX, ricevuta dalla Santa Sede dopo qualche anno dalla morte del Santo, e citata anche in una missiva del 1608 tra papa Paolo V ed il Vescovo di Sessa Aurunca. Alla fine del XIX secolo l’edificio è stato completamente restaurato per iniziativa di Mons. Giovanni Maria Diamare, Vescovo di Sessa Aurunca dal 1888, che dimostrò una sensibilità spiccata verso il recupero e la conservazione dei beni culturali della città; in quell’epoca la Diocesi lo rilevò dal Comune da cui nel frattempo era stata acquisita, lo ampliò e lo aprì nuovamente al culto. La chiesa di San Leone è nota anche come chiesa di San Leo. La sua facciata, inserita nella cortina stradale, è un piano liscio interrotto dalla bucatura rettangolare del portale d’ingresso la cui ornia è in pietra locale, un tufo che, ossidandosi, assume un particolarissimo colore dalle sfumature di un verde marino simili al tufo ischitano, e da due piccole finestre laterali, arcuate a tutto sesto, realizzate probabilmente durante i lavori di recupero dell’inizio del secolo XIX. Importanti lavori di restauro eseguiti tra il 2018 ed il 2021 hanno riportato alla luce l’originaria morfologia, parte del prezioso ciclo di affreschi, presente al di sotto della quota del calpestio, i preziosi altari medioevali, l’originaria facciata con ingresso rivolto ad est, nonché il campanile posto sul lato a sud, integrato ai corpi di fabbrica ottocenteschi.
Santa Maria in Grotta
Poco distante dalla città di Sessa Aurunca, nella frazione di Rongolise, si trova la chiesa rupestre di Santa Maria in Grotta. Ad essa si giunge percorrendo delle curve tortuose che attraversano la campagna circostante la città. Superando una di queste curve all’orizzonte appare un piccolo edificio che, se non fosse per il minuscolo campanile, si confonderebbe con un modesto edificio rurale. È forse questa la visione che i pellegrini che percorrevano la vicina via Francigena potevano avere. La piccola chiesetta è scavata nel tufo locale, assumendo la tipica forma a “V” rovesciata che costituisce l’ambiente principale, da cui si dipanano ambienti laterali anche a quote diverse. All’esterno, accessibile dal piazzale, è presente anche una vasca con acqua corrente sorgiva che accentua la suggestione del luogo. La grotta è poi integrata con una costruzione in tufo che caratterizza il prospetto, ed un piccolo belvedere che si affaccia sullo spiazzo antistante la chiesa stessa raggiungibile da un camminamento che dal piazzale conduce all’estradosso della grotta inerpicandosi poi nei viottoli delle campagne sovrastanti. Le prime notizie storiche documentate, risalgono alla prima metà del secolo XIV, dove il nome di “Santa Maria in Cripta” è riportato nelle decime della Diocesi. All’interno, preziosi cicli di affreschi ricoprono le pareti a tutta altezza e su più registri; in particolare, è da segnalare l’affresco di una Madonna posizionato nella cripta destra della grotta dal quale, con ogni probabilità, prende la denominazione Santa Maria in Grotta.
San Michele in Gualana
La Cripta di San Michele a Gualana si trova in un ambiente ipogeo di natura tufacea, suddiviso in tre absidiole. Nella centrale è raffigurato Cristo tra l’Arcangelo Michele e S. Pietro. Nell’absidiola di sinistra è raffigurato S. Massimo, mentre in quella di destra la Madonna tra S. Tommaso e San Nicola.
Alla base dell’abside di destra è chiaramente visibile una scritta dedicatoria che termina con la parola “fecimus”. Gli affreschi di pregevole fattura per la qualità dell’impasto cromatico e per il ductus sono con molta probabilità ascrivibili all’VIII dell’Era Cristiana e al confine tra la sfera di influenza latina e quella bizantina.
Nell’ambiente ipogeo di natura tufacea, la cui volta è in parte crollata, ancora leggibili le strutture architettoniche di tre absidiole sulle cui superfici sono presenti dipinte a buon fresco alcune figure di santi.